sabato 28 luglio 2007

Pezzo nr. 1

Il mio nome é Puccio Speroni e sono nato a Firenze parecchi anni fá.

Puccio é un nome piuttosto raro anche in Italia. Era usato nel tardo medioevo in Toscana dove comunemente si accorciavano i nomi: Maso invece di Tommaso, Lapo al posto di Jacopo, Vanni invece di Giovanni, Cola sostituto di Nicola e tanti altri. Inoltre era abbastanza comune usare come nomi l'abbreviazione dei nomignoli. Un tipico esempio é dato dal nome di uno dei grandi pittori fiorentini, Masaccio (1401-1428) che proviene dal peggiorativo di Tommaso, Tommasaccio. Ed infine ”Puccio” che é la sintesi del vezzeggiativo di Filippo, Filippuccio, come dire ”il grazioso Filippo”, naturalmente, che altro sennó.

Il cognome Speroni, che in inglese si traduce ”spurs”, é originario di Genova. Sembra che uno dei primi Speroni che si ricordi fosse capitano di una delle navi genovesi che parteciparono alla battaglia di Lepanto (7 Ott. 1571).Comunque, a parte il sottoscritto, l'altro veramente famoso Speroni é Sperone Speroni (1500-1588) umanista, drammaturgo e filosofo. Fine della parentesi etimologica sul mio nome.

Io provengo da una famiglia ex-aristocratica-intellettual-medio-borghese e sono nato piú o meno durante la 2a Guerra Mondiale. Devo dire che durante il conflitto ho mantenuto una posizione completamente neutrale ed imparziale perché ricevevo cioccolata sia dai tedeschi che dagli americani quando, prima gli uni poi gli altri, occuparono il primo piano della nostra casa di campagna.

La mia infanzia nell'immediato dopoguerra é stata piuttosto noiosa. Avevo due fratelli, (di cui parleró presto in uno dei prossimi pezzi), ma uno era tre anni piú vecchio di me e quindi non si abbassava a giocare con un moccioso par mio. L'altro era quasi 6 anni piú giovane di me e quindi totalmente inutile per le mie esigenze.

A Firenze io e la mia famiglia abitavamo in una strana casa situata alla fine di un giardino lungo quasi 100 metri. All'altra estremitá del giardino vi era la casa che dava sulla strada e dove, al pian terreno vivevano la mia nonna paterna assieme alla sua sorella zittella. La stranezza della mia casa consisteva nel fatto che era piú alta che larga ed aveva tutte le finestre rivolte da una sola parte, verso il giardino. La pianta del piano terreno era come una parentesi quadra ed aveva, nell'ala sinistra, la cucina e la cosidetta stanza dei ragazzi o stanza del telefono; al centro, la stanza da pranzo, le scale e il soggiorno e nell'ala destra, lo studio di mio padre, la stanza di mia madre e una toilette. Al primo piano, una terrazza costituiva il tetto dell'ala sinistra e al centro c'erano il bagno, la camera di mio fratello minore, da cui tutti dovevano passare se volevano usare il bagno, le scale e la stanza dei miei genitori. Infine al secondo piano c'erano la stanza in comune che dividevo con mio fratello maggiore, le scale e la stanza degli armadi o stanza della cameriera, quando ne avevamo una. Era una grande, scomoda, tranquilla, strana casa ed io l'amavo molto, ma niente in confronto al giardino. Quello era il mio regno, non al suolo, ma sugli alberi.

A quei tempi non c'erano soldi per comprare sofisticati giocattoli ed, inoltre, a quei tempi non c'erano sofisticati giocattoli da essere comprati. I bambini avevano solo la loro fantasia e gli alberi del mio giardino erano per me una fonte inesauribile d'immaginazione. Ma....ma ero sempre da solo. Solamente quando fui un pó piú grandicello mi fu permesso di uscire dal mio giardino incantato.

Nel dopoguerra Firenze era vuota, non di persone, ma di automobili. Se ne passava una, tutti si fermavano e si voltavano a guardarla passare. Le strade, ma sopratutto le piazze, erano luoghi ideali dove noi ragazzi potevamo incontrarci e giocare assieme senza distinzione di razza, religione o posizione sociale e i genitori non stavano in pensiero, perché non c'erano pericoli. Gli unici possibile candidati ad assumersi il ruolo di pericolo pubblico erano i vecchi, cigolanti, traballanti e rumorosi trams.

Fine del pezzo nr. 1

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